Giovani e Internet - Intervista a Michela Drusian

giovedì 28 ottobre 2010

Venerdì 19 novembre, presso il Teatro San Martino di Povegliano Veronese, piazza IV novembre 2, sarà dedicata una serata all’universo dei nuovi media con cui crescono i ragazzi di oggi, a cura di Rami tra i Capelli e Associazione NOI.

Così, per introdurre chi voglia saperne di più o farsi un’idea di ciò che verrà trattato durante la serata, abbiamo pensato di intervistare la relatrice, Michela Drusian, sociologa dell’Università di Padova.

Vorrei partire dal telefono cellulare. Per quello che riguarda me, il telefono cellulare sembra essere diventato parte integrante del sociale, sembra quasi “passato di moda” soffermarsi a parlare dell’impatto che continua ad avere sulla gente, eppure mi sembra che ci sia una certa accettazione ormai del telefono cellulare. Volevo sapere secondo te cos’è il cellulare oggi. Cos’è diventato?

È una domanda complessa, non si può dare una risposta secca. Il cellulare è tante cose: è un oggetto cross mediale, che in sé racchiude diversi media. Sì è cercato di studiare, negli anni, e di capire quale sia il posto del cellulare nella vita quotidiana. È una tecnologia come le altre, che ci aiuta a vivere la nostra vita quotidiana qui e ora. Probabilmente se si pensa a qualcuno che non ha il cellulare risulta facile pensare a qualcuno che ha fatto una determinata scelta di vita, più che a uno a cui non serve, perché la vita quotidiana oggi ci richiede di utilizzare un oggetto tecnologico come questo. Secondo me è questo il dato da cui partire per riflettere sul cellulare. Ma non è il dato definitivo sul quale iniziare a muovere le considerazioni, come sarebbe partire dicendo “non possiamo fare a meno del cellulare”, “si stava meglio prima quando non c’era perché oggi è diventato una dipendenza.” Il cellulare è un dato di fatto come tante altre cose nella nostra vita quotidiana, dall’automobile, alla televisione, alla radio, alla lavatrice. Il cellulare oggi è un elettrodomestico che serve per portare avanti la vita quotidiana. Poi dipende comunque dall’uso che ne fa ciascuno, gli usi della tecnologia sono moltissimi.

Collegandomi allora a questo discorso, penso agli adolescenti e ai loro genitori, i quali cercano consigli da parte degli educatori, perché vorrebbero non prendere il cellulare troppo presto ai loro figli ma sono combattuti dal fatto che, comunque, esso serva, e non meno importante è la questione del non avere il cellulare, che per un ragazzo significa, in grande misura, essere visto come diverso, rischiare di rimanere fuori dal giro.
Io quindi pongo la domanda a te, come deve porsi un genitore?


Lo stesso discorso vale per la televisione, che però va presa con le pinze. Sulla televisione bisogna avere un controllo molto più alto rispetto a quello che si deve avere sul cellulare, ma allo stesso tempo privare totalmente un giovane della tv diventa una scelta. Secondo me è molto più comodo non avere la televisione in casa per evitare proibizioni o discussioni, così non ci si deve confrontare con la disciplina per l’utilizzazione del mezzo di comunicazione di massa.
Il cellulare allo stesso modo, a una certa età, entra nelle vite degli individui. L’età in cui entra è variabile. Ci sono quelli per cui diventa il regalo della comunione oppure quelli che, come posso portare dalla mia esperienza personale di interviste a ragazzi, identificano l’età giusta per il cellulare a 14 anni, cioè quando avviene il passaggio dalla terza media alla prima superiore. Perché così si ha il cellulare in caso di bisogno, come quando si perde la corriera, o comunque perché cambiano le forme di socialità. Fino a 13 anni sei legato ai genitori per quanto riguarda le relazioni, con l’entrata alle superiori le reti della socialità si ampliano e il cellulare serve a nutrirle e mantenerle.
Gli stessi ragazzi dicevano che vedevano dei bambini di 9 anni con cellulari molto più tecnologici di quelli che avevano loro e dicevano che questi bambini non sapevano cosa farne, giocavano ai videogiochi o cambiavano le suonerie, senza usarlo come mezzo di comunicazione, facendogli quindi perdere senso.
Se dovessi dare una valutazione su questo direi che l’interpretazione dei ragazzi che ho intervistato mi trova d’accordo: quando si cominciano ad allargare le cerchie sociali e quindi il tempo libero amicale della socialità non è più legato a quello della famiglia, ben venga il cellulare, nel senso che il cellulare diventa uno strumento per poter andare fuori dalla famiglia, per poter vivere la vita quotidiana come ci è richiesto oggi.
Perché, diceva Walter Benjamin, che comunque le nuove generazioni si affacciano nell’epoca i cui vivono dando per scontato il livello tecnologico dell’epoca in cui vivono, di conseguenza il cellulare è uno strumento che viene dato per scontato per poter interagire e vivere in quest’epoca. E’ un pezzettino, insieme agli altri, che viene dato per scontato come strumento per poter condurre alla vita quotidiana com’è richiesta oggi.

L'intervista è stata rimossa.

Art Pollution Fest - Tre mesi dopo

martedì 26 ottobre 2010


Vorrei cominciare dal nome, il cui senso per molti, magari, non è scontato come a noi che l’abbiamo partorito. Art Pollution significa inquinamento d’arte, vuole essere un modo un po’ alternativo di pensare una cosa che apparentemente non lascia spazio ad altre interpretazioni, come l’inquinamento. Anche l’arte, la creatività, la voglia di fare possono essere viste come “sostanze inquinanti” – ed è quello che ci auspichiamo, contagiando le menti e succhiandone la creatività per farla uscire, per metterla al servizio del desiderio di partecipazione, di inventare cose, manifestazioni, pensieri, modi d’espressione che, alla fine, provengano dall’originalità di ognuno, perché ognuno la possiede. Per questo il termine acquista un’accezione nuova, positiva.
Ma ci sono maniere diverse di intendere Art Pollution, come ci è stato dimostrato da quelli che hanno riferito la loro prima impressione sul nome. Tipo l’innegabile paronimia tra l’inglese pollution e l’italiano polluzione, per cui una polluzione artistica è ciò che ci sorprende senza rendercene conto, nel sogno, in uno stato di coscienza diverso dalla veglia ma che lascia un segno e quel sentore di soddisfazione onirica.
            E la nostra soddisfazione l’abbiamo avuta, noi dei Rami, perché la manifestazione, al suo debutto, ha visti coinvolti 13 gruppi musicali, più di 60 iscritti agli 8 laboratori proposti, 5 espositori artistici, la collaborazione con 6 associazioni e vari partner negli ambiti di ristorazione, service, pubblicizzazione e organizzazione, e il parco attivo e pieno di gente come da tempo non succedeva.
Oltre ai numeri però ricordiamo l’atmosfera che aleggiava nel parco, nei due pomeriggi assolati e brulicanti di energia, o la pace emanata dall’angolo relax con le poltrone e l’amaca tra gli alberi; lo strano e sorprendente impatto di una libreria tra l’erba e i rami, i gazebo ai lati delle stradine e il sottofondo dei soundcheck durante i laboratori.
            Dopo tre mesi da quella incredibile esperienza, non mi sento di aggiungere altro su ciò che è stato. Mi piacerebbe invece iniziare subito a spiattellare la miriade di idee che sono già nate per l’anno prossimo, ma temo rovinerei la sorpresa.

Per Art Pollution Fest 2011 proponiamo ai giovinastri di Povegliano e dintorni, nel caso ci fosse qualcuno interessato, una collaborazione con Rami tra i Capelli: lanciamo sin da ora l’occasione di prendere parte alla realizzazione della manifestazione, con l’opportunità di dire la propria sia sugli aspetti organizzativi che su quelli logistici.
Per info scrivere a ramitraicapelli@gmail.com.

Foto Art Pollution Fest 2010 visibili qui.

Associazione

lunedì 25 ottobre 2010

Il basilisco è una bestia mitologica. Ha il potere di incenerire tutto ciò che entra in contatto con esso e qualunque forma di vita incroci il suo sguardo. Vive in aree deserte, a causa di queste caratteristiche.
Non sappiamo se il basilisco sia felice di vivere in tali condizioni, se ama convivere col nulla o se apprezzi delle cose senza poterle mai toccare. Non sappiamo se il deserto è ciò che lui desidera o se invece odia il proprio corpo. Ma come tutti i miti, il basilisco incarna una precisa situazione umana: può capitare all’uomo e alla donna di ogni epoca, infatti, di vivere e creare attorno a sé il deserto. Più o meno consapevolmente, certo, ma comunque provando dolore. In fondo, nessuno di noi è un basilisco.
Possiamo renderci conto, avendo sinora ragionato per assurdo, che essere esattamente l'opposto di una creatura simile significa vivere come esseri sociali, che hanno bisogno degli altri e che agiscono in funzione degli altri.
Poi mi accorgo di quello che ho appena scritto: associo il pensiero fantasioso di una creatura inesistente a un meccanismo sociale reale.
L'associazione è un principio utile a trovare tutte le potenzialità di cui possono essere dotati due elementi, anche apparentemente estranei, messi in connessione, per poter così affrontare un problema che individualmente risulterebbe oltre le proprie possibilità. Ciò significa che instaurare un rapporto con gli altri amplifica le possibilità individuali.
Il desiderio di ognuno può far sì che nasca un’associazione tra individui che riconoscono le proprie idee in altri individui, e a sua volta questo può far sì che nasca un’associazione tra i desideri degli individui. Si ha la formazione di un desiderio comune. Ci si sforza per esaudire il desiderio comune. La conseguenza è che il proprio punto di vista cambia; il corpo diventa collettivo, diventa più potente, più alto, più creativo, più intelligente, più sveglio più qualsiasi altra cosa che derivi dalla collaborazione.
L'associazione può essere un procedimento concettuale, può essere una cricca di persone che credono in qualcosa, può, alla fine, essere la perfetta coscienza delle dimensioni di un sogno.